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Lunario dei giorni di scuola


Tredicesima settimana

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Il paese delle vocali

Laura Pariani

Casagrande ed.



(…) Tutt'a un tratto il postino del paese appare sulla porta. "Sacranon! Che burdéll ca gh'è chichinscì?" vusa, sputando per terra. Sarà per il suo vocione baritonale, o per la sua corpulenza, ché è un faraone d'uomo, comunque tutti i centoventitré ragazzini la piantano di indiavolare e, in on esüssi, si rimettono seduti e zitti al loro posto.
L'uomo scuote il capo con aria di rimprovero, mentre posa sulla cattedra una lettera e un pacchettino avvolto in carta spessa e marroncina. "Chesti fiö-chì col maèstar ca gh'éa primma a faséan nó 'stu baccanéri. Chi non sa fare, lasci stare: se voi non riuscite mica a tenere la classe e farvi rispettare, è meglio che cambiate lavoro".
Esce a grandi passi, non dopo aver lanciato una nuova occhiata torva alla scolaresca.
Alla signorina Sirena vengono le lacrime agli occhi e finge di soffiarsi il naso nel suo grande fazzoletto bianco. Confusamente sente che le parole disperazione e rabbia sarebbero esagerate: la situazione che sta vivendo non le permette di sapere che sta provando proprio questo. Si rende conto che dovrebbe sentire compassione nei confronti di questi suoi scolari, e non, invece, quel senso di ripulsa che le attanaglia la gola. La scuola che lei ha sognato per tanti anni era fatta di bambini che volevano imparare, che le portavano ossequiosamente rispetto, che accettavano l'ordine, che non discutevano le affermazioni dell'insegnante... Ha voglia di fuggire. Si accorge di essersi strappata pezzettini di pelle intorno alle unghie.
A l'é anmó ul Lipén a rompere il silenzio: "Sciura maestra, l'é che nuiàltar siamo paisàn", dice, quasi sottovoce. Non è una frase interrogativa la sua. Per questo la signorina Sirena ne è colpita: dove siete vissuta fino adesso, che cosa avete fatto, non sapete niente. Che glielo dica un bambino di otto anni, le fa ancora più impressione.
Una mano le tira l'orlo della gonna e la fa sobbalzare. Si tratta della Luisina: "Sciura maestra, l'é ca a capìssum nó... I vocali, i consonanti... chisti-chì inn robi ca sa pödum nó cumpréndi..." Neanche questa è una frase interrogativa.
All'improvviso la signorina Sirena estrae un libro dalla borsa. Tüti gli öggi dei bambini sono fissi su di lei. La giovane donna toglie da una piccola busta gli occhialini, e li inforca. Quelle piccole lenti sembrano rimarcare ancor più la distanza tra lei e i suoi alunni, farla diventare più maestra.
Sfoglia velocemente il libro, guarda verso gli scolari con uno sguardo serio. "Vi ricordate la storia di Pinocchio che vi avevo cominciato a raccontare la settimana scorsa?" e, senza attendere la risposta, inizia a leggere con voce un po' tremante, quasi soffocata dall'emozione:
"Pinocchio era stato derubato dei suoi quattro zecchini d'oro, sicché preso dalla disperazione andò difilato in tribunale, per denunziare al giudice i due malandrini che avevano compiuto il furto. Il giudice era un vecchio scimmione con una barba bianca e gli occhialini d'oro... In sua presenza, Pinocchio raccontò per filo e per segno l'iniqua frode di cui era stato vittima; diede il nome e i connotati dei due ladri e finì col chiedere giustizia". Le frasi del libro escono dalla bocca della signorina Sirena con un certo timore, dato che la maestra si rende conto della fondamentale estraneità del racconto a questo suo uditorio di figli di contadini.
Intorno alla maestra si è comunque fatto un grande silenzio. I visi di tutti sono immobili, gli occhi fissi sulla maestra, l'espressione assorta, gli orecchi guzzi per non perdere una parola.
La signorina Barberis, senza osare distogliere gli occhi dal libro, percepisce un'atmosfera diversa, un'attenzione che la rinfranca un po'. Proprio vero quel che dicono i viggi: parola pizza, vurégia drizza... Con voce più alta e sicura prosegue:
"Il giudice lo ascoltò con molta benignità: prese vivissima parte al racconto: s'intenerì, si commosse: e quando Pinocchio non ebbe più nulla da dire, allungò la mano e suonò il campanello. A quella scampanellata comparvero subito due gendarmi..."
"Tàj-lì i püssé bon!" commenta una voce dal fondo dello stanzone. Nei ragazzi si diffonde una specie di romorìo di congratulazioni per quel che sembra la buona riuscita del fatto, manco l'avessero suonato loro il campanello.
"Allora il giudice, indicando Pinocchio ai gendarmi", continua la maestra, soddisfatta dal successo del suo raccontare, "disse loro: "Quel povero diavolo è stato derubato di quattro monete d'oro: pigliatelo dunque e mettetelo subito in prigione"".
Ul Tanu ha un moto di stizza: "Chéll sacraméntu!... Gh'è nó giustìzia a 'sto mondu-chì par i puarìtti..." e scrolla il testone ricciuto.
"Ma i gendarmi", chiede stupita la Luisina, "a pudéan nó fà on quajcoss?"
"Segon cunfùrma", ribatte ul Pecion. "A te sé tróll piscinìna tì par cumpréndi 'sti robi-chì... I gendarmi ubbidiscono e basta..."
"Pinocchio, sentendosi dare questa sentenza tra capo e collo, voleva protestare", la voce della signorina Sirena cerca di superare il brusìo suscitato da quel commento e di ricatturare l'attenzione. "Ma i gendarmi, a scanso di perditempi inutili, gli tapparono la bocca e lo condussero in gattabùia. E lì vi rimase quattro lunghissimi mesi. E vi sarebbe rimasto ancor di più, se non si fosse dato un caso fortunatissimo... Sapete infatti cosa avvenne?"
La maestra ha alzato finalmente gli occhi dal libro. Tutti, anche i più grandi delle ultime file, pendono dalle sue labbra. Uno stato di esaltazione la invade e la innalza di fronte a se stessa - allora riescono a capirmi! - per cui la voce le diventa squillante:
"Bisogna sapere che l'Imperatore che regnava nella città di Acchiappa-citrulli avendo riportato una gran vittoria contro i suoi nemici, ordinò grandi feste pubbliche e, in segno di maggior esultanza, volle che fossero aperte anche le carceri e mandati fuori tutti i malandrini. "Se escon di prigione gli altri, voglio uscire anch'io", disse Pinocchio al carceriere. Ma quello gli rispose di no, perché il condono riguardava solo i farabutti..."
"Sémpar inscì la sarà: gli onesti, quéj ca sa cumpórtan pulìdu, inn sémpar legnà..." sbotta ul Terèsio, uno spilungone di nove anni.
"Allora Pinocchio lo assicurò di essere anche lui un malandrino e il carceriere, sapete cosa fece?" questa volta è la voce della maestra a essersi interrotta sul più bello. La signorina Sirena guarda il suo uditorio attento e silenzioso, sorridendo, felice di aver provocato negli scolari l'attesa del finale della storia. Gh'é nient da püssé bell da 'na facia cuntenta...
"Sciura maestra, mò 'sa ga sucédi?" chiede la voce della Luisina che non sta più nella pelle.
"Quando Pinocchio gli ebbe giurato che era proprio un malandrino, il carceriere, togliendosi rispettosamente il berretto, gli aprì la porta e lo lasciò uscire!" conclude la maestra, mentre tra le fila dei ragazzi si diffonde un vocìo generale di soddisfazione. Al Teresio gli ride anche il culo. "Tüti i gobbi a gh'han ul so drizzu", è il suo commento.
Chi non sembra convinta invece l'é la Luisina: "Ma perché ul carceriere si leva la berretta?"
"Perché cunt' i scròchi, quelli veri, i malaménti dabòn, si deve star sempre attenti, can sa sìa..." ride ul Lipén.
Come fanno dei ragazzini così piccoli a dire enormità come queste? La signorina Sirena è senza parole.

Se ne sono andati tutti. C'è silenzio adesso nello stanzone vuoto della scuola. La maestra sta seduta sul cassone, la testa tra le mani. Si è afflosciata su se stessa, in una tristezza che temeva e aveva paura di riconoscere. Si guarda le scarpe coi tacchi consumati, le calze rammendate fino al polpaccio. Alla fine scoppia a piangere, presa dallo sconforto. Probabile che stia sbagliando tutto, questo lavoro è superiore alle mie forze, sospira. Loro non riescono a capire, e chi ne ha colpa?... Forse son io che non sono adatta a fare la maestra. Forse si dovrebbe insegnare in un altro modo... Sono parecchie settimane che è iniziata la scuola e ancora, con quelli della prima classe, non le è riuscito di andare al di là delle vocali.
Un rumore la fa sobbalzare. In piedi, stringendosi la giacchetta di panno addosso a mo' di protezione, si guarda intorno impaurita. La Luisina è spuntata fuori dal nulla, sta lì a tre passi da lei, la faccia dalle ossa sporgenti resa ancora più affilata dal cerchio di luce della lampada.
"Beh, cos'hai da guardare?" la voce della giovane donna è quasi irosa. Le dà fastidio che qualcuno l'abbia sorpresa in questo atteggiamento così poco autorevole. Lei è la maestra, accidenti... "Allora, che vuoi?" richiede, sciugandosi le lacrime col fazzoletto che si è levata dalla manica del vestito. Sono da invidiare le persone che non conoscono le situazioni di imbarazzo di fronte ai bambini...
"L'é staj bell".
"Cosa?" domanda la signorina Sirena, spazientita.
"La storia del Pinocchio... A scöra la duarìa vèss inscì, fatta di stórij..."
La maestra si soffia il naso, guarda il viso della bambina, sospira e allunga il braccio per afferrare la mano della Luisina; quasi volesse grapparsi a lei per un po' di conforto. "Allora ti è piaciuta?" domanda.
La bambina fa segno di sì con la testa.
"E cosa ti è piaciuto di questa storia?" incalza la signorina Sirena.
"I paróll..."
"Le parole?!" sbotta la maestra, sorpresa; ché le vien quasi da ridere.
La bambina intanto si è accoccolata davanti al cassone, ha preso tra le mani il libro da cui la maestra ha letto la storia e lo carezza.
"A génti tame num..." dice la Luisina in un sussurro, "i paisàn, insomma, a cugnùssan nó i paróll..."
"Ma son qui io per insegnarvele le parole, non capisci? Le parole..." la signorina si è messa a sedere sul cassone, le mani giunte come in preghiera.
"I paróll inn fàj mìa par i paìsan...A vurì sintì 'na storia, sciura maestra, ca la me cuntéa sémpar menóna Purtugàla, quandu ca mì a séru piscinìna?"
"Quando eri piccola?" ride la giovane donna. "Perché adesso cosa sei?"
"Mì a sòm già grandaséla, ci ho nove anni..." risponde seria la Luisina. "Ma allora, sciura maestra, la vurì sintì 'sta storia, sì o no?" la voce della bambina è un po' spazientita, certo che questa maestra è un po' dura di comprendònio.
"Certo, certo... Racconta".




















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